Il 19 marzo per me è un giorno importante: sarebbe il compleanno di mia madre, che non c’è più, e il giorno del papà, che mia figlia ricorda ogni tanto. Ma io sono soprattutto un cittadino bolognese e per Bologna è e sarà sempre il giorno del ricordo di Marco Biagi. Sono passati ormai dieci anni dal suo assassinio. Ripenso a quella sera, quando la notizia iniziò a circolare. La prima reazione fu l’incredulità, poi lo sgomento, la rabbia, il dolore. E la pena, immensa, per un uomo ucciso ingiustamente e per una famiglia duramente colpita.
E’ anche
attraverso il ricordo che si calma il dolore; è la memoria condivisa che rinnova
il valore di un uomo e del suo lavoro. Per questo sono d’accordo con il sindaco
Merola quando dice che lunedì sarà una giornata importante per Bologna, perché
per la prima volta dall’omicidio del marito, Marina Orlandi ha deciso di
partecipare alla commemorazione in Comune.
In questi 10 anni tante cose sono
cambiate. Alcune trasformazioni Biagi le aveva già anticipate, con quello
spirito da grande riformista che aveva. Non a caso i suoi studi erano incentrati
sulla riforma del mondo del lavoro, uno dei temi più caldi di questa stagione
storica e politica del nostro Paese. Mantenendo un equilibrato distacco, da
studioso qual era, aveva capito per tempo il dramma della precarietà e della
disoccupazione giovanile e cercava febbrilmente nuove strade. Sono certo che se
fosse ancora vivo avrebbe dato un contributo prezioso a spiegare e risolvere
questi cambiamenti. Biagi era un collaboratore dello Stato, un “tecnico”.
Proprio per questo penso che avrebbe potuto essere chiamato nella squadra del
premier Monti.
Sono state le sue idee, la sua determinazione, la sua voglia
di sperimentare a farne una vittima prescelta. Da giuslavorista ha centrato il
cuore del problema: la rottura profonda dei vecchi schemi previsti dai contratti
di lavoro, sostituiti dalla crescita esponenziale di nuove generazioni in
movimento, costrette a navigare in mare aperto. Da studioso al servizio dello
Stato ha contribuito ad avviare un profondo rinnovamento. Il suo operato è stato
sottovalutato e quando quella sera arrivò sotto casa con la sua bici, era solo.
Qualche mese prima gli era stata tolta la scorta.
Ricordo altrettanto
nitidamente il giorno della chiacchierata più lunga che feci con lui: era il
1996. Un anno indimenticabile, pieno di speranze per una sinistra rinnovata,
culminato con la vittoria dell’Ulivo di Romano Prodi. Ovviamente non parlammo
mai del Pd, a quei tempi era ancora lontano, ma affrontammo il tema della
semplificazione della politica attraverso grandi aggregazioni capaci di andare
oltre le divisioni ideologiche del secolo che stava finendo. Negli anni
successivi non siamo mai riusciti ad approfondire quella discussione, ma sono
sicuro che Biagi oggi sarebbe un interlocutore prezioso per il Partito
Democratico, così come per le altre forze in campo.
Quella sera di dieci anni
fa la scheggia residua delle Brigate Rosse ha voluto colpire i segnali di
rinnovamento profondo dello Stato contenuti nel lavoro di Biagi e di Massimo
D’Antona, ucciso prima di lui. Spero che i bolognesi non lo dimentichino mai. E
sono convinto che le istituzioni, il mondo della scuola e del lavoro, la
politica tutta, abbiano l’impegno morale di tenerne concretamente vivo il
ricordo. Lo dobbiamo alla memoria di un marito e di un padre che oggi, come spesso faceva, sarebbe allo stadio con i
figli, cresciuti con la passione per i colori rossoblu.
Articolo pubblicato da Il Resto del Carlino, edizione del 14/03/2012