Sul piano lavorativo ho una certezza: comunque vada sono più gli anni che ho lavorato di quelli che mi mancano alla pensione o comunque si voglia chiamare quella strana condizione in cui, un uomo o una donna, dopo aver lavorato una vita si godono(?) il meritato riposo.
Da questo osservatorio per così dire privilegiato mi accingo come tutti a dare un parere sul tema che affligge questo governo e tutti quelli a venire.
Una premessa è doverosa: la mia generazione e tutte quelle successive sono vittime della sindrome da pensione baby, 19 anni 6 mesi 1 giorno. La politica oggi ha toccato il picco più basso di credibilità nei confronti dei cittadini fino al punto di guardare con nostalgia agli anni in cui è maturato il deficit mostruoso del nostro Paese, sistema previdenziale e pensionistico compreso. Gli anni delle clientele, degli accordi incrociati per nascondere il deficit, vengono oggi presentati come quelli della politica vera fatta di statisti straordinari. Governi che si susseguivano, durando anche una sola stagione, basati sulla solida convinzione che bastava tenere i comunisti fuori dal governo e la barca andava da sola. C’è voluto il brusco risveglio negli anni novanta, il salvataggio della pseudo unità europea, a tenerci lontani dal rischio bancarotta. Questa è la verità che per comodità o interesse anche la classe politica attuale tiene nascosta sotto il tappeto preferendo contribuire alla propria demonizzazione. Tornando al problema dei problemi credo sinceramente, e io sono tra quelli che vanno a rimetterci, che sia giunto il tempo di pensare più ai giovani che ai garantiti. Il sistema Paese ha bisogno di un complesso di riforme sostanziali che permettano condizioni di vita generali migliori in termini di servizi, di assistenza sanitaria, di vivibilità delle città. Trincerarsi dietro la barriera dell’età pensionabile, anacronistica rispetto alle aspettative di vita, è un danno per tutti perché non tiene conto della sostenibilità economica. Le parti sociali, il sindacato in particolare, hanno la responsabilità di guardare alla prospettiva di lungo periodo legata ai lavoratori precari di oggi che non trovano risposte per il loro percorso formativo.
E’ un dovere politico e morale dare risposta all'eterna domanda di giustizia sociale che oggi nasce dalle disuguaglianze e dalle "dispari opportunità", il problema che si pone è quello di una nuova grande questione generazionale. Il sistema pensionistico non può essere perno del welfare italiano. Diritto allo studio, alla casa, al percorso formativo occupazionale sono le priorità; forse è venuto veramente il tempo della verità, di una politica responsabile fatta di qualche compromesso in meno investendo sul futuro, con la consapevolezza che questo potrebbe mettere a rischio l’attuale governo.
Bologna 11 luglio 2007 Maurizio Cevenini