Unità d’Italia, se centocinquantanni vi sembran pochi
Data: Sabato, 19 giugno alle 00:17:05
Argomento: Tribuna


Dalle pagine del libro Cuore alle battaglie per i diritti civili degli anni ’70. Dalle trincee insanguinate della Grande Guerra alla gioia di Sandro Pertini per il gol di Tardelli a Spagna ’82. E poi ancora: l’eredità mazziniana, la Resistenza e la Repubblica, il voto alle donne, il barbaro assassinio di Aldo Moro, la morte di Enrico Berlinguer, il sorriso di Federico Fellini e il suo dolce sodalizio con Giulietta Masina...


La gioia per i successi dei nostri campioni dello sport e il dolore per le grandi tragedie “naturali” che hanno colpito il nostro Paese: dal Belice all’Umbria, dallo strazio del Vajont a quello dell’Irpinia. E per Bologna i segreti terribili della stazione, di Ustica.
Ecco a voi la Storia dei primi 150 anni d’Italia. Il nostro Paese compie 150 anni, anche se non li dimostra perché la vitalità, la voglia di fare e di agire della nostra nazione sembrano non perdere smalto né sotto il peso degli anni, né sotto le traversie e i problemi che anche l’attuale crisi economica sta colpendo i cittadini e le cittadine del nostro Paese.
Si tratta di una data importante. Che nella nostra città doveva essere concomitante con l’avvio dei lavori per il museo dell’Unità d’Italia, importante opera che avrebbe fatto bella mostra di se a Palazzo d’Accursio, ma che è stata cancellata dalle forbici del governo, che ha preferito non erogare i fondi già promessi.
Un fatto grave, ma che non inficia l’importanza di un anniversario che è importante per tutti noi.
Non si tratta di festeggiare fantomatici sacri confini da difendere con la spada, non si tratta di cadere nella retorica patriottarda che tanto piace a chi non sa la nostra storia.
Si tratta di festeggiare un compleanno che ha significato l’avvio di un percorso che ha portato alla democrazia liberale, a superare l’onta del fascismo e della sua guerra, a far nascere la repubblica, ad emancipare le donne e le classi subalterne.
Ora siamo a un tornante importante: dobbiamo decidere cosa fare del nostro futuro.
Per la prima volta le nuove generazioni saranno davanti ad un dato di fatto: vivranno peggio dei propri genitori. E qualcuno dirà anche che non è vero, che è il contrario. Dirà che siamo nell’era delle opportunità, ma quando dalle parole si passa ai fatti si scopre che quell’opportunità in realtà si chiama precariato. Cioè insicurezza.
Ma proprio nella pancia della nostra storia unitaria abbiamo gli anticorpi per reagire: libertà, democrazia e giustizia sociale rappresentano gli strumenti per riprendere quel cammino verso una società più giusta e unita che ha ispirato i nostri padri, i nostri nonni e che non deve far venire meno la fiducia nei nostri figli.






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