Ci ha lasciato Dino Sarti
Data: Mercoledì, 14 febbraio alle 17:29:01
Argomento: Tribuna


E’ morto Dino Sarti, una delle ultime voci del dialetto bolognese anche se sarebbe riduttivo limitare a questo aspetto la sua vena artistica. E’ altrettanto facile dire oggi che era un amico, una persona che incontravo sempre volentieri perché legato a ricordi indelebili della mia famiglia. Mio padre e mia madre lo seguivano ovunque all’inizio della sua carriera, anche se da provetti ballerini non potevano sbizzarrirsi con quel cantante melodico che saltava dall’italiano al francese con quella esse maledetta che accompagna tutti noi bolognesi.

 Me ne parlava tanto mio padre delle loro serata all’Esedra La nuit di San Lazzaro quando compariva Dino “bello e impomatato”, come usava allora identico al personaggio di Spometi al re dal Tabarin…Meccanico di giorno, re nella notte. Mille ricordi, confusi. Avrò avuto dieci anni quando mio padre volle offrirgli un taglio di capelli gratis nella sua bottega: “ai vàg dluntira da Italo al barbir!” Astorre arrivò con la macchina fotografica e quel giorno fu festa anche se gli incassi furono magri, ma Dino cantò, raccontò barzellette, la storia ed san càrlin. "Le canzoni di Dino Sarti - aveva detto di lui Enzo Biagi - hanno il sapore del pane all'olio e rispecchiano il carattere della mia gente". E’ vero.

Passarono alcuni anni prima di “Piazza Maggiore 14 agosto”; anche lì c’ero, fresco di diploma quell’estate la passai a Bologna e il ferragosto di quell’anno fu memorabile. Erano davvero quarantamila, più della grande festa per la vittoria del referendum sul divorzio di quel 1974.

Forse fu da quella sera, dalle parole di Zangheri, che Bologna stava cambiando, tre anni dopo arrivò lo schiaffo violento del ’77 riportò tutti con i piedi per terra. Ma quella sera fu indimenticabile, tenne la scena per ore il nostro caro Dino e forse non si accorse, anche se ci furono altri appuntamenti, che la sua città il suo dialetto lo stavano abbandonando. Questa è la verità e me ne accorsi qualche anno fa quando incontrandolo, ospite di un matrimonio, mi disse che tutti i sindaci di Bologna, allora c’era Guazzaloca va valeva anche per gli altri dopo Zangheri, lo avevano dimenticato. Lo diceva un po’ a tutti e oggi nel giorno del suo funerale guardando i muri spogli del Panteon della Certosa ci vergogniamo. Come capita sempre più spesso con i figli di questa terra che se ne vanno in silenzio, trascorrendo lontano dalla città gli ultimi anni della loro vita. Non è stato il più grande ma certamente il più popolare cantante del dialetto bolognese. At sàlut Dino, ti grànd.

Bologna, 15 febbraio 2007                              Maurizio Cevenini







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